Una panoramica sul Distacco di Retina

Sintomi, fattori di rischio, cura e prevenzione di uno dei fenomeni più noti in oftalmologia

La retina è un sottile tessuto composto da diversi strati di cellule che ricopre la superficie interna dell’occhio. In particolare le cellule della retina chiamate “fotorecettori” sono le cellule fondamentali nella visione perché traducono il segnale luminoso in un segnale nervoso che, trasmesso al cervello attraverso gli altri strati della retina, diventa immagine e ‘vista’. Senza cellule retiniche – in particolare quelle della sua porzione centrale, la macula – non si può vedere.

A fronte di questa funzione fisiologica importantissima, la retina è caratterizzata da una struttura anatomica molto delicata. La sua superficie all’interno dell’occhio è aderente ad una sostanza di consistenza gelatinosa chiamata corpo vitreo che è formata per la maggior parte da acqua e da fibre collagene. A seguito di una trazione di queste fibre collagene sulla superficie della retina, si possono verificare delle rotture e il distacco della retina stessa. In questo caso la sua funzione fisiologica è compromessa, la vista diminuisce a seconda dell’estensione del distacco e si rende necessario l’intervento chirurgico, che deve essere eseguito quanto prima possibile per assicurarsi le migliori probabilità di recupero.

A raccontarlo è il dott. Guido Ripandelli, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Vitreoretinica presso l’IRCCS Fondazione Bietti, nel quale si seguono, tra visite ambulatoriali per patologie vitreoretiniche ed interventi chirurgici di distacchi di retina e vitrectomie, circa 1.000 pazienti all’anno.

Come avviene il distacco di retina?

Come sopra accennato, nella maggior parte dei casi il corpo vitreo, il gel che occupa la parte interna dell’occhio, esercita una trazione sulla retina creando una rottura retinica e nei casi più gravi un distacco di retina. Ciò può avvenire in seguito ad un trauma o per una  brusca o eccessiva disidratazione. La carenza di acqua nel nostro corpo può portare ad una minore elasticità delle fibre collagene vitreali che possono soprattutto nei casi nei quali la retina stessa presenta delle zone di indebolimento ed assottigliamento, creare una rottura ed un progressivo distacco della retina.

Quali sono i sintomi?

La formazione di rotture retiniche e il distacco della retina non danno mai sintomatologia di dolore. Molto importante ricordarlo perché, spesso, il distacco di retina inizia nella parte periferica del nostro campo visivo e quindi senza neanche particolari effetti iniziali sulla vista. Man mano che la condizione progredisce si avverte una visione parzialmente offuscata, molte volte riferita dai pazienti “come vedere attraverso l’acqua”, che peggiora progressivamente a seconda dell’estensione del distacco. La sensazione è quella di una tenda scura che cala velando parzialmente la vista. Se il distacco è totale, ovvero include la porzione centrale della retina (macula), si smette di vedere del tutto e l’unica sensazione che rimane è la percezione della luminosità. I sintomi visivi, invece, che possono precedere il distacco di retina sono gli improvvisi lampi di luce noti come “fosfeni” e l’insorgenza oppure l’aumento dei corpi mobili del vitreo, le cosiddette “mosche volanti”. Questi corpi mobili sono dovuti ai movimenti delle fibre collagene che fluttuano all’interno del nostro occhio quando il vitreo inizia, fisiologicamente e tipicamente con il progredire dell’età, a perdere di compattezza.

Come si può prevenire?

La risposta istantanea ad uno qualsiasi di questi sintomi deve essere una visita oculistica immediata perché, nel caso di distacco di retina, le probabilità di recupero aumentano con la tempestività dell’intervento chirurgico. Se il distacco di retina è di vecchia data, si può forse riattaccare anatomicamente la retina, ma la sua funzione visiva è irrimediabilmente compromessa. L’unica prevenzione, a parte l’accortezza di bere molta acqua per mantenere il corpo vitreo umido ed elastico, è la visita oculistica. Solo l’esame del fondo dell’occhio può individuare se si sta sviluppando una situazione pericolosa. Dato, inoltre, che l’aumento dei corpi mobili è un fattore ‘fisiologico’ nel corso dell’invecchiamento, è importante che la visita venga fatta con regolarità. La maggior parte delle patologie o condizioni che minacciano la vista, del resto, possono essere individuate e curate tempestivamente con due visite all’anno dopo i quaranta anni e una visita all’anno dopo i sessanta.

Ci sono fattori di rischio?

I grandi miopi sono a rischio, anche in giovane età, e tutti coloro che si sono sottoposti ad intervento di cataratta. Queste categorie dovrebbero sottoporsi a controlli con particolare attenzione. Infine, anche le cosiddette “aree degenerative” della retina – cioè degli assottigliamenti non sintomatici che si manifestano spontaneamente in alcune persone – possono predisporre al distacco. Anche in questi ultimi casi, però, una visita oculistica può individuare il problema e risolverlo con le adeguate misure preventive, come ad esempio effettuare un trattamento con il laser a rinforzo delle zone di retina a rischio.

Che intervento chirurgico si effettua dopo il distacco di retina?

Il cerchiaggio episclerale è l’intervento d’elezione. Consiste nel porre una benderella in gomma di silicone attorno alla parete esterna dell’occhio, la sclera. La benderella, di spessore e altezza variabili in genere dai 2 fino ai 7-10 mm., esercita una pressione sulla sclera che, dopo una serie di adeguate manovre chirurgiche, consente il riaccollamento della retina distaccata e quindi il ripristino della visione. Nei casi più gravi, quando il distacco è molto esteso ed interessa la macula, si deve ricorrere alla vitrectomia, ovvero alla rimozione del corpo vitreo (che viene sostituito da altri mezzi come acqua, olio di silicone, aria o gas).

Dopo l’intervento si ritorna a vedere?

Più tempestivo è l’intervento e meno avanzato il distacco, migliore è l’esito. Il distacco di retina è sempre un’urgenza chirurgica e va operato il prima possibile. I risultati dell’intervento sono, in genere, buoni, anche se non si può garantire la totalità del recupero. Questa è comunque una caratteristica comune a tutti gli interventi sulla retina. Quella vitreoretinica è infatti una chirurgia di precisione, caratterizzata da una curva di apprendimento lenta e da lunghi, faticosi interventi al microscopio effettuati su un tessuto nervoso – la retina – che ha in partenza capacità di recupero postoperatorio circoscritte.

Si rischiano recidive?

Per la sua complessa e delicata costituzione anatomica, anche dopo un intervento eseguito correttamente si possono verificare delle recidive di distacco della retina. I motivi sono svariati, legati a condizioni anatomiche preesistenti e alla gravità del distacco di retina originario. I pazienti devono essere sempre bene informati prima di affrontare l’intervento chirurgico e resi consapevoli della gravità di un distacco di retina, per non creare delle false aspettative di recupero visivo che non può mai essere garantito né quantificato. In realtà dopo l’inserimento del cerchiaggio, la retina è ben ancorata. Chi si è sottoposto all’intervento corre in genere meno rischi di quanti ne corresse prima. Unico accorgimento è cercare di evitare traumi diretti all’occhio, come ad esempio le pallonate. Ma questo è comunque un buon consiglio per tutti e – con qualche accortezza – anche chi ha subito un distacco di retina può perfino tornare a giocare a calcetto dopo l’intervento.

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In particolare “le numerose tecniche di diagnostica per immagini che si sono affermate in questi anni hanno permesso una sempre migliore osservazione dell’anatomia dei distretti posteriori dell’occhio consentendoci anche di incrementare le nostre conoscenze relative all’eziopatogenesi, quindi l’origine di svariate patologie retino-coroideali, migliorando le nostre possibilità per la cura e il monitoraggio dei nostri pazienti”, afferma la dott.ssa  Monica Varano, direttore scientifico della Fondazione Bietti per lo studio e la ricerca in Oftalmologia.

In questi ultimi anni abbiamo infatti assistito ad un progressivo miglioramento delle metodiche di imaging convenzionale, prima fra tutti la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT), in associazione con l’avanzare di nuove metodiche di imaging quali l’OCT Angiografia e l’ultra-widefield imaging (imaging ad ampio campo). Sono tutte metodiche che facilitano la diagnosi: non sono invasive e, in unico scatto, fotografano in modo completo il fondo dell’occhio del paziente arrivando a un dettaglio che permette di scoprire precocemente patologie complesse come la retinopatia diabetica, le occlusioni vascolari retiniche o le uveiti posteriori”.

 “L’OCT è una metodica che consente una dettagliata analisi strutturale della parte centrale del fondo oculare, cioè la regione maculare – spiega la dott.ssa Varano-. I progressivi miglioramenti avuti negli anni  hanno portato ad ottenere con gli attuali Spectral-Domain OCT e Swept-Source OCT scansioni estremamente dettagliate, che consentono di analizzare la retina quasi istologicamente” – cioè a livello di tessuto – “portando  all’introduzione di nuovi criteri di valutazione qualitativa oltre che quantitativa di patologie che interessano la regione maculare come la maculopatia legata all’età (AMD), l’edema maculare diabetico o post-occlusivo, la maculopatia miopica, o la corioretinopatia sierosa centrale”.

L’OCT Angiografia è una nuova metodica di imaging non invasiva che sfrutta la dinamica del movimento dei globuli rossi consentendo, senza l’utilizzo di alcun colorante, la visualizzazione in 3D del sistema vascolare e microvascolare della retina e della coroide, una lamina del bulbo oculare che, insieme all’iride e al corpo ciliare, forma la tonaca vascolare dell’occhio o ùvea. Rispetto alla fluorangiografia tradizionale si tratta di un esame più rapido, non invasivo, e che consente di visualizzare separatamente i diversi plessi vascolari retinici (plesso capillare retinico superficiale e profondo) e coroideali (non consentendo viceversa lo studio dell’estrema periferia retinica e non permettendo di ottenere quelle informazioni fornite dalla dinamica legata alla diffusione del colorante per cui rimane l’indicazione per la fluorangiografia tradizionale). La mappa del flusso sanguigno corioretinico viene ricostruita in pochi secondi, analizzata strato per strato, mediante una visualizzazione en face. Grazie a questa segmentazione è possibile studiare separatamente il plesso retinico superficiale (localizzato nello strato delle cellule ganglionari e delle fibre nervose), profondo (a livello degli strati nucleare interno e plessiforme esterno) e quello coroideale.

Anche la retinografia evolve con l’ultra-widefield imaging

La retinografia (fotografia del fondo dell’occhio) è da sempre stata una metodica molto importante per documentare lo stato del fondo oculare dei nostri pazienti. “Grazie allo sviluppo di metodiche di ultra-widefield imaging, abbiamo la possibilità di ottenere in modo semplice immagini ad ampio campo in grado di fornirci molte più informazioni rispetto al passato sullo stato della periferia retinica osserva la dott. ssa Mariacristina Parravano, responsabile dell’Unità di ricerca “Retina Medica” presso IRCCS Fondazione Bietti.  

Oggi infatti gli strumenti che permettono una valutazione ultra-widefield in commercio consentono di ampliare il campo di visione (da cui il termine Widefield) fino all’82% della retina in una singola immagine, con acquisizione in un singolo scatto senza necessità di midriasi o lenti a contatto. “La retinografia e l’angiografia ultra-widefield- spiega la dottoressa – hanno consentito quindi di migliorare notevolmente la possibilità di registrare fotograficamente e visualizzare la condizione vascolare del fondo dei nostri pazienti consentendo una rapida esplorazione dell’estrema periferia retinica, prima di difficile raggiungimento con le metodiche convenzionali, e soprattutto di avere con un unico scatto un quadro completo del fondo di pazienti con complesse patologie vascolari come la retinopatia diabetica, le occlusioni vascolari retiniche o le uveiti posteriori”.

Diagnosi a distanza, anche per i Paesi in via di sviluppo

È facile immaginare quindi quanto questo possa essere importante “per lo screening ed il monitoraggio di tutti i nostri pazienti, offrendo in particolare nuove opportunità per quelli di loro che non hanno la possibilità di sottoporsi periodicamente a controlli oculistici completi, come avviene ad esempio nei paesi in via di sviluppo” – aggiunge Mario Stirpe, presidente della Fondazione Bietti – , per i quali si potrà quantomeno prendere visione anche a distanza delle immagini acquisite che ad oggi sono in grado di fornire numerose informazioni sulle condizioni del paziente”.