Terapia genica e malattie rare dell’occhio: un trial di fase 3 alla Fondazione IRCCS G.B. Bietti

Trial di fase 3

Servirà a provare l’efficacia di una nuova terapia per la retinite pigmentosa legata al cromosoma X per mutazioni del gene RPGR. La distrofia retinica, grave e progressiva, causa cecità legale entro la terza decade di vita. Lo studio coinvolge circa 32 centri in tutto il mondo.

Da circa un decennio una nuova generazione di terapie innovative ha permesso di affrontare malattie un tempo incurabili: le malattie genetiche e rare. Quando la patologia è causata dalla mutazione di un singolo gene – e quindi dalla mancanza della proteina per la quale il gene codifica – è ora possibile, in un numero crescente di situazioni, veicolare un gene sostitutivo nelle cellule del corpo umano, utilizzando un vettore derivato da un virus inattivato.

La prima malattia oftalmologica curata con questa tecnica in Italia è stata l’amaurosi congenita di Leber. «La ricerca di questo tipo di cure richiede grandi investimenti e le terapie conseguenti sono molto costose – spiega la Dottoressa Lucia Ziccardi dell’IRCCS Fondazione G.B. Bietti – ma più salgono il numero dei progetti coronati da successo più diminuisce il costo della tecnologia e aumenta il numero della patologie curabili».

La retinite pigmentosa legata al cromosoma X e dovuta a mutazioni del gene RPGR potrebbe essere, nei prossimi anni, una di queste.

«È una forma grave e progressiva di distrofia retinica; una malattia rara e genetica dell’occhio che colpisce esclusivamente gli uomini (si stima 1 su 25.000) e causa cecità entro la terza decade di vita» spiega la Dott.ssa Ziccardi, uno dei due clinici dell’Ambulatorio di Neuroftalmologia e Malattie Genetiche e Rare dell’IRCCS Fondazione G.B. Bietti assieme alla dott.ssa Mariacristina Parravano.

Proprio l’IRCCS Fondazione Bietti di Roma sarà una dei 4 centri italiani a partecipare ad un Trial di fase 3 per misurare l’efficacia di un nuovo prodotto genico. Gli altri centri sono l’Ospedale San Paolo di Milano e le Università di Napoli (Centro coordinatore) e Firenze.

«Esistono due varianti della malattia, causate da due geni diversi, il gene RPGR e il gene RP2. Il gene RPGR è la responsabile del 75% dei casi ed è il gene oggetto del Trial di fase 3, sponsorizzato dalla casa farmaceutica MeiraGTx che, in collaborazione con Janssen di Johnson & Johnson, ha finanziato gli studi pre-clinici di fase 1 (su modelli animali), e di fase 2 su una corte molto ristretta di persone per valutare la tolleranza e sicurezza del prodotto genico». 

In cosa consisterà il Trial di fase 3 presso la Fondazione Bietti?

Verrà iniettato un prodotto genico con un vettore virale Adenovirus-associato di tipo 5 (AAV5-hRKp.RPGR). La somministrazione di questo prodotto avverrà attraverso un’iniezione sottoretinica preceduta da vitrectomia standard bilaterale. In futuro c’è l’auspicio che le terapie possano essere somministrata per via di iniezioni intravitreali.

Quali saranno i parametri di valutazione?

La valutazione concernerà sia l’efficacia che la sicurezza. L’outcome principale è la misurazione delle variazioni del campo visivo dei pazienti per mezzo della perimetria statica. La malattia colpisce, infatti, prima i bastoncelli, le cellule periferiche della retina, compromettendo sia l’estensione del campo visivo sia la visione con poca luce. Solo successivamente, l’ipovisione si estende alla macula, la parte centrale della retina. Il prodotto genico si rivelerà efficace, perciò, se raggiungerà i bastoncelli e se si avvierà la giusta sintesi proteica correlata al gene RPGR, in questo modo portando ad un misurabile miglioramento visivo.

«Ma non sarà questo l’unico parametro di valutazione. La terapia genica in generale funziona solo se altri eventi si combinano positivamente. L’immunogenicità è uno di questi eventi: la risposta immunitaria del corpo umano naturalmente contrasta il prodotto genico e bisogna che avvenga che questa risposta (attraverso gli anticorpi neutralizzanti) non arrivi a compromettere l’efficacia del farmaco. Anche la genotossicità è un parametro importante: l’obiettivo è trasferire nel DNA della persona il gene sostitutivo, assicurandosi, però, che nessuna porzione del genoma virale si insedi a sua volta in esso. Infine, occorre la persistenza a lungo termine della trascrizione genica. Auspicabilmente, l’effetto terapeutico durerà per tutta la vita e la malattia sarà curata. Ma, ovviamente, dobbiamo aspettare i risultati», sottolinea la dottoressa Ziccardi.

Quanti pazienti parteciperanno al Trial e per quanto tempo?

«La retinite pigmentosa legata al cromosoma X è una malattia rara ma non tra le più rare. I pazienti arruolati nei 32 centri mondiali coinvolti saranno 66, selezionati secondo parametri molto stringenti. Saranno divisi in due gruppi. Il primo riceverà il trattamento appena dopo l’arruolamento, il secondo fungerà da gruppo di controllo per il primo anno sottoponendosi alla terapia genica solo nel secondo anno del trial. Solo alla fine dei due anni di studio potremo conoscere i risultati completi», conclude la dottoressa.

Glaucoma: il ruolo della proteina Tau nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative

Grazie alla proteomica, la ricerca ha fatto passi in avanti per la cura delle patologie che danneggiano le cellule nervose. Ne parla il dott. Francesco Oddone dell’IRCCS Bietti

Il glaucoma è la seconda causa di cecità nel mondo; in Italia ne sono affette circa 1 milione di persone, ma si stima che solo il 50% ne sia a conoscenza: è una malattia che generalmente non da sintomi tanto che viene definita “ladra silenziosa della vista”.

Il glaucoma è una patologia cronica e progressiva che colpisce il nervo ottico e rientra nelle cosiddette “malattie neurodegenerative”, come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer.

Con quest’ultime, il glaucoma presenta molti aspetti in comune: un decorso progressivo, colpisce popolazioni specifiche di neuroni e ha come esito il medesimo processo di apoptosi/morte cellulare degli stessi.
La ricerca per contrastare questo gruppo di malattie si focalizza su molecole che possono prevenire la morte dei neuroni.

“La proteina Tau, in particolare, è una proteina di vitale importanza per le cellule nervose del nostro organismo che vanta un interesse “storico” da parte della comunità scientifica nell’ambito dello studio della neurodegenerazione – spiega il dott. Francesco Oddone, ricercatore dell’U.O. Glaucoma della Fondazione Bietti–.

Infatti, è dagli albori degli studi sui meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza di patologie quali il morbo di Alzheimer che è noto come Tau, in seguito a fenomeni ancora non del tutto chiari, possa andare incontro ad aggregazione e precipitazione all’interno delle cellule del tessuto nervoso (“neurofibrillary tangles”) contribuendo alla loro uccisione.

Pertanto, Tau, per alcuni aspetti, è un marcatore biologico di neurodegenerazione, sebbene in ambito diagnostico/prognostico non abbia mai raggiunto un ruolo di indubbio ed universale significato clinico.

Nell’ambito della ricerca e della clinica del glaucoma, patologia per la quale è possibile fare ampie correlazioni con il morbo di Alzheimer, il possibile ruolo della Tau è ancora oggetto di dibattito scientifico.

L’impiego della proteomica potrà senz’altro contribuire a raggiungere questo obiettivo analizzando fluidi e campioni biologici. Tale considerazione si applica tanto alla proteina Tau, quanto a qualsiasi altra proteina di interesse che verrà identificata tramite lo spettrometro di massa.” conclude l’esperto.

I tre fondamentali: un approccio olistico al glaucoma

È la seconda causa di cecità al mondo e, per affrontarlo, dobbiamo fondere in un unico orizzonte diagnosi precoce, aderenza terapeutica ed emancipazione del paziente. L’intervista a Francesco Oddone nella settimana mondiale del glaucoma

Diagnosi precoce, aderenza terapeutica ed emancipazione dei pazienti attraverso la conoscenza: questi i tre pilastri fondamentali della lotta al glaucoma. “Per sconfiggere il ladro silenzioso della vista abbiamo bisogno di tutti e tre contemporaneamente. Abbiamo bisogno di un approccio olistico alla seconda causa di cecità al mondo”.

Il dott. Francesco Oddone è il responsabile dell’Unità Glaucoma presso l’IRCCS Fondazione G.B Bietti, il primo Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico dedito all’oftalmologia in Italia. “Ci sono 76 milioni di persone affetta da glaucoma del mondo e si stima saranno 111 nel 2040. In Italia l’incidenza si pensa raggiunga 1 milione di persone, la metà delle quali non è al corrente del rischio gravissimo alla vista che sta correndo”.

“La settimana mondiale del glaucoma è l’occasione per fare il punto sulla situazione, ma è chiaro che la prevenzione per il glaucoma deve durare per tutta la vita”. Ecco perché: “Il glaucoma è una malattia estremamente pericolosa per la vista perché è una malattia prevalentemente asintomatica: la degenerazione del nervo ottico alla base della malattia è irreversibile, ma avviene così lentamente che la persona tende a compensare l’impercettibile diminuzione quotidiana del campo visivo. Quando ci si accorge di avere un problema, è troppo tardi: l’occhio è pressoché cieco.

Questo ci spiega perché la visita presso un Medico Oculista è la più importante ed essenziale forma di prevenzione: la precocità della diagnosi è direttamente proporzionale alla ‘quantità’ di vista che si può salvare”. “La diagnosi precoce, però, non è garanzia di cura. La terapia farmacologica richiede, nella maggioranza dei casi, la somministrazione quotidiana di colliri e controlli periodici per valutarne l’efficacia. Non è un percorso sempre facile e la tolleranza alla terapia non è uniforme. Il glaucoma è una malattia cronica e si deve curare con costanza. Il rispetto della terapia e dei controlli periodici è un ingrediente fondamentale per prevenire la perdita della vista”. “L’informazione, infine, è l’elemento portante di uno stile di vita consapevole da parte delle persone. La persona informata è la persona che può scegliere sulla base dei fatti. È il cittadino che sceglie di farsi visitare.
La prevenzione deve essere attiva e la conoscenza per la propria salute, è la chiave dell’emancipazione del paziente: ciò che lo rende attore del suo percorso di cura e di prevenzione”.

“Tutti questi elementi – conclude Oddone – contribuiscono ad arginare la cecità causata dal glaucoma e non ne può mancare nessuno. Per questo abbiamo bisogno, come società, di un approccio olistico al glaucoma: una malattia che si sconfigge solo se le persone ne conoscono il rischio e sanno che deve essere diagnosticata presto e curata regolarmente per tutta vita”. Il primo passo, perciò, è una visita dal Medico Oculista: una volta ogni 3-4 anni prima dei 40 anni, una volta ogni due anni dopo i 40 anni; una volta all’anno dopo i 60.

Per approfondimenti sulla Settimana Mondiale del Glaucoma, consultare il sito web ufficiale www.worldglaucomaweek.org

 

Il Covid-19 e le sfide alla ricerca in oftalmologia

Lo stato di pandemia ha messo a dura prova lo svolgimento e la gestione dei trial clinici ma i moderni metodi diagnostici offrono soluzioni immediate e spunti per il futuro

Le misure di lockdown per contrastare la diffusione del nuovo Coronavirus hanno messo a dura prova l’organizzazione dei servizi di oftalmologia per i pazienti ma anche la gestione dei trial clinici.  In un’intervista realizzata il 17 agosto da Santen[1], il dott. Francesco Oddone, responsabile dell’Unità Operativa Glaucoma della Fondazione IRCCS G.B. Bietti, ragiona con Karen Osborn – CEO della Glaucoma International Association, UK – sulla necessità di adeguare i metodi della ricerca in oftalmologia per affrontare al meglio le nuove necessità.

Dottor Oddone, quali sono state le principali sfide per la ricerca in oftalmologia durante il lockdown?

La chiusura delle strutture adibite ai test clinici e le limitazioni agli spostamenti sono state uno dei problemi più significativi. Ma è il rischio di esporre pazienti e personale tecnico al contagio che influenza, tutt’ora, i metodi di lavoro.

Come si può prevenire il rischio?


La misura principale è diversificare gli orari di lavoro dello staff e utilizzare diverse strutture. In questo modo però si corre il rischio di essere sempre a corto di personale. Un altro problema che è insorto con la pandemia è il rallentamento dei lavori dei comitati etici che sono responsabili del controllo e delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei test.

È necessario mettere uno stop ai test clinici in situazioni come questa?


Potrebbe essere necessario, in alcuni casi, fermare la sperimentazione clinica soprattutto quando non si ha prova di benefici immediati. Ma per alcune malattie croniche altamente debilitanti come il Glaucoma[2] è fondamentale continuare gli studi in corso. Una volta superata l’emergenza Coronavirus i risultati potrebbero aiutare sostanzialmente e in modo definitivo milioni di pazienti.

Non è sempre necessario bloccare le visite in clinica programmate per ogni paziente ma si devono soppesare i pro e i contro di ogni situazione. In ogni caso, laddove ci siano timori, non si deve cercare di convincere il paziente. Piuttosto si possono esporre le diverse opzioni e rassicurare sulle misure di prevenzione adottate in ogni centro.

Con la necessità di mantenere le distanze fisiche, devono essere potenziati i metodi diagnostici a distanza?


L’oftalmologia è una disciplina ad alto contenuto tecnologico e abbiamo, dunque, un certo vantaggio per quanto riguarda l’uso di nuove tecnologie. Possiamo ridurre il tempo che i pazienti devono passare in un centro realizzando da remoto alcune esami.  Per misurare la pressione intra oculare, ad esempio, è possibile avvalersi di apparecchi per uso domestico sfruttando apposite App per comunicaree i valori al medico o è possibile utilizzare delle lenti speciali abbinate agli smart-phone per fotografare il fondo oculare. Dobbiamo approfittare di questa opportunità per potenziare simili strumenti innovativi testarne l’affidabilità e quando possibile implemntarli nella pratica clinica.

E se resta ancora qualche dubbio?


L’attenzione principale deve essere sempre rivolta al benessere del paziente. Se ci sono dubbi riguardo al continuare o meno una sperimentazione clinica l’interesse del paziente deve sempre prevalere anche sugli interessi scientifici.



1] https://www.linkedin.com/pulse/can-ophthalmology-clinical-research-continue-times-garrigue/?trackingId=qSi4P7j8TRucJVLzHbbRuA%3D%3D(link is external)

[2]https://www.fondazionebietti.it/it/francesco-oddone-le-frontiere-del-glaucoma

Missione in Antartide

Lo studio del Laboratorio di ricerca della IRCCS-Fondazione Bietti presso la base scientifica italo-francese Concordia fa parte delle ricerche “Towards Mars”. L’obiettivo è capire la reazione del film lacrimale alle condizioni ambientali e la sua correlazione con il “discomfort” oculare.

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La ricerca traslazionale: il fiore all’occhiello del laboratorio Fondazione Bietti

Un termine di cui si sente spesso parlare, ma in cosa consiste? Capiamolo insieme attraverso l’attività del nostro laboratorio  
 
In quanto IRCCS, la Fondazione Bietti, da sempre, pone grande attenzione alle attività di ricerca in ambito oftalmologico. Nella visione dei fondatori, infatti, a fare da guida è sempre stata la costante sete di conoscenza nel campo della fisiologia e patologia dei tessuti oculari per comprendere i meccanismi alla base delle malattie del sistema visivo e arginarli.  

Questo è l’orizzonte del laboratorio di ricerca della Fondazione IRCCS Bietti: dotato delle migliori tecnologie e di strumenti all’avanguardia, la sua missione è affiancare l’attività clinica mettendo in comunicazione biologi, biotecnologi e farmacisti con medici, fisici, chimici ed ingegneri. Da questo continuo scambio di conoscenze, idee e scoperte nascono protocolli di ricerca in vivo e in vitro per indagare il modo attraverso il quale i meccanismi fisiopatologici influenzano il rapporto cellula-cellula e cellula-microambiente/tessuto, sia in condizioni fisiologiche che patologiche.   
In questo contesto la ricerca traslazionale analizza l’influenza che le cure hanno sui pazienti durante le terapie concentrandosi, spesso, su singole molecole o gruppi di molecole.   
Focalizzarsi su marcatori biologici, comprendere che significato abbiano in relazione allo sviluppo di una patologia o all’efficacia delle terapie, permette di individuare alcuni parametri di riferimento che fanno fare passi avanti verso il traguardo delle cure individuali. Se si dimostra, infatti, che un certo numero di parametri – delle proteine per esempio – si manifestano sempre in un certo modo quando ci si trova di fronte ad una particolare situazione patologica, o se si capisce che alcune molecole indicano una particolare reazione o tolleranza ad un particolare trattamento, allora verrà dato al medico uno strumento per diagnosticare tempestivamente ed intervenire in maniera calibrata basandosi sui parametri del singolo paziente.  
 
La ricerca traslazione si basa su tre pilastri: “benchside, bedside and community”, ovvero “laboratorio, letto del paziente e comunità”. Un approccio che ha come modus operandi combinare discipline e competenze scientifiche diverse per indagare, conoscere e sviluppare terapie e tecniche diagnostiche sempre più efficaci. Da questa combinazione di stimoli e informazioni a 360 gradi, che comprendono la ricerca, le terapie, la sintomatologia e la cultura accademica, nascono soluzioni che rendono più efficace il percorso di cura dei pazienti della Fondazione Bietti e non solo.  

La ricerca translazionale, in definitiva, parte dallo studio delle terapie di oggi per contribuire a sviluppare le cure di domani. 

Le frontiere del Glaucoma: chirurgia mininvasiva e nuovi farmaci neuroprotettori

Il glaucoma è il ladro silenzioso della vista: la prima causa di cecità irreversibile nel mondo e la sua caratteristica assenza di sintomi negli stadi iniziali rende essenziale la diagnosi precoce. Le terapie, infatti, esistono e sono efficaci, ma dipendono da una visita oculistica approfondita e tempestiva. La ricerca, intanto, va avanti e la Fondazione Bietti ha avviato il primo registro chirurgico del glaucoma in Italia e diversi trial clinici sulle molecole (Citicolina, NGF, BDNF) che proteggono i neuroni dalla morte cellulare.
Eccco l’intervista al Dottor Francesco Oddone, Responsabile Unità Operativa Semplice “Glaucoma” della Fondazione G.B. Bietti

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Le tecniche di imaging all’avanguardia per l’oftalmologia

L’OCT strutturale nel glaucoma e nelle patologie maculari, l’angiografia OCT, la Microscopia confocale corneale l’impiego delle Scheimplug camera per lo studio del cheratocono sono solo alcuni delle tecniche Hi-Tech che uniscono approccio clinico e la ricerca scientifica nel campo delle malattie oculari.

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Il bando più bello è il prossimo che vinceremo

Come e dove si raccolgono i fondi per la ricerca all’IRCCS Fondazione G.B. Bietti

Nelle Istituzioni scientifiche, il Grant Office è l’ufficio che si occupa di cercare fondi per sostenere la ricerca scientifica. Il suo compito è la ricerca dei bandi di gara promossi da Istituzioni pubbliche e private. Una volta individuati, il Grant Office affianca i ricercatori nella presentazione della domanda. Ma alla Fondazione Bietti non si ferma a questo. 

“Il fatto è che il campo di ricerca dell’IRCCS Fondazione G.B. Bietti è l’Oftalmologia – spiega la responsabile Daniela Giannini-. È una disciplina molto specialistica per la quale è difficile vengano creati bandi appositi e unicamente dedicati. Per aumentare la possibilità di trovare finanziamenti, perciò, il lavoro del Grant Office Bietti comporta anche conoscere nel dettaglio l’ambito di ricerca di medici e ricercatori in modo tale da poter individuare bandi dedicati ad altre discipline o filoni nei quali si possa sviluppare anche una ricerca oftalmologica”. Inoltre, il Grant Office Bietti monitora anche il corso dei progetti, assicura il rispetto delle scadenze e rendiconta l’attività svolta, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista scientifico, assieme al Direttore amministrativo. 

Che competenze ci vogliono per presentare e rendicontare bandi di ricerca? 

Bisogna certamente amare i numeri e capire gli ambiti scientifici per i quali si cercano finanziamenti. Non esiste, però, una formazione specializzata. È più una questione di esperienza. Io, per esempio, sono un ingegnere con un dottorato in statistica. Ho lavorato all’IRCCS Fondazione G.B. BIETTI nell’ambito dell’elaborazione digitale delle immagini diagnostiche e, poi, sono passata al Grant Office dato che mi interessava e mi ero occupata di bandi già al CNR. 

Quali sono le principali fonti di finanziamento per la ricerca? 

Il nostro IRCCS ha un rapporto molto stretto con la Fondazione Roma che sostiene da anni le nostre attività di cura e ricerca. Come Fondazione Bietti partecipiamo, inoltre, a diversi bandi in competizione con altri Istituti di ricerca. Al momento ne abbiamo vinti 5, due nazionali finanziati da Lazio Innova e 3 internazionali sostenuti da enti privati e dalla Commissione europea con il Fondo “Horizon Europe”. I principali sostenitori della ricerca sono, infatti, Istituzioni pubbliche (regionali, nazionali – come i Ministeri – o europee) o enti privati come banche e fondazioni.  Inoltre, il Piano nazionale ricerca sta, attualmente, finanziando lo studio condotto dal Laboratorio scientifico della Fondazione Bietti presso i ricercatori della base scientifica Concordia in Antartide. 

Qual è il rapport con il Ministero della Salute? 

In qualità di IRCCS dobbiamo rendicontare tutta l’attività di ricerca, valutandola su tre grandi parametri: gli articoli scientifici pubblicati su riviste con peer review e riconosciuto impact factor; la capacità di operare in rete con altri istituti di ricerca nella conduzione di trial multicentrici; la capacità di attrarre risorse aggiudicandosi finanziamenti per i nostri progetti. Quello con il Ministero, perciò, è un rapporto continuo perché l’aggiornamento avviene durante tutto il corso dell’anno. 

Quale progetto che l’ha emozionata di più? 

Sono sempre convinta che sarà il prossimo! 

Una palestra per i ricercatori

Quattro sessioni per imparare a fare ricerca fondata sull’evidenza e produrre studi scientifici autorevoli e riconosciuti a livello internazionale. La Fondazione Bietti investe sulla formazione dei giovani ricercatori con un corso dedicato alla metodologia in ambito clinico. A Roma, in data 27-28 settembre e 11-12 ottobre 2019.

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