Tecnologie

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L’ecografia oculare è una metodica diagnostica che utilizza gli ultrasuoni per la visualizzazione delle strutture dell’occhio e dell’orbita. L’ecografia bulbare è di massima utilità quando non è possibile un’esplorazione diretta delle strutture interne dell’occhio, ad esempio a causa di opacità corneali, di una cataratta avanzata o di un emovitreo. Le condizioni cliniche maggiormente studiate con questa tecnica di imaging sono: distacco di retina o lacerazioni retiniche, distacco di coroide, emorragie vitreali o endoftalmiti, retinopatia diabetica proliferante di grado avanzato in presenza di membrane trattive, tumori solidi endobulbari (melanomi della coroide, emangiomi, metastasi). Risulta di estrema importanza inoltre nel follow-up post-chirurgico di molte delle condizioni appena elencate. L’ecografia orbitaria permette, invece, di studiare la ghiandola lacrimale, i muscoli oculomotori, il nervo ottico e le altre strutture retro bulbari potendo rappresentare, in casi selezionati e in mani esperte, una valida alternativa alla TAC ed alla RMN.,

La fluorangiografia è un esame che consente di visualizzare e fotografare in rapida successione gli aspetti dell’emodinamica oculare retinica e le relative alterazioni tissutali. Tale indagine viene eseguita mediante la somministrazione endovenosa di un colorante, la fluoresceina sodica al 20%, la quale è in grado di legarsi per l’80% alle proteine plasmatiche mentre per il restante 20% circola libero nel siero. Questo esame permette di evidenziare in maniera specifica le alterazioni della circolazione retinica e coroideale. Trova, pertanto, particolare indicazione in tutte le vasculopatie (ipertensione arteriosa, trombosi, occlusioni vascolari, diabete), nelle infiammazioni (retiniti, corioretiniti, papilliti), nelle degenerazioni maculari (ereditarie, metaboliche, senili, miopiche), nelle patologie del disco ottico e nei tumori. Nonostante l’avvento di nuove tecniche diagnostiche per lo studio delle patologie retiniche e coroideali la fluorangiografia continua ad essere ancora oggi un’indagine di prima scelta per studiare non solo la fisiopatologia delle alterazioni corioretiniche ma anche per valutare l’efficacia a breve e lungo termine del trattamento di tali affezioni.

La MP è una metodica semeiologica che consente di effettuare uno studio della fissazione (stabilità e localizzazione) e della soglia di sensibilità retinica (microperimetria) attraverso la visualizzazione diretta in tempo reale del fondo oculare. La microperimetria (Fundus-Related Perimetry) viene, oggi, eseguita per mezzo di un moderno strumento denominato Micro Perimeter-1 (MP1) della Nidek Technologies Inc. – Italy. Questo strumento offre la possibilità di personalizzare il pattern, così da poter essere adattabile ad ogni tipo di patologia, e di eseguire esami in modalità automatica, semi-automatica o manuale. Tale esame trova oggi applicazione clinica nella diagnosi e nell’osservazione a lungo termine di numerose patologie retiniche quali la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica, i fori maculari e le sindromi dell’interfaccia vitreo-retinica. L’MP1 consente l’acquisizione di immagini a colori dei 45° centrali del fondo oculare, non è invasivo e soprattutto è ripetibile, quindi utile nel follow-up terapeutico gestionale di tali patologie. Risulta utile inoltre nei pazienti con danno maculare per l’esecuzione del biofeedback nella riabilitazione visiva.,

Simile alla fluorangiografia, l’angiografia al verde di indonianina è un esame che, mediante l’introduzione endovenosa di un colorante (verde di indocianina), consente di studiare il circolo coroideale attraverso una sequenza fotografica, sfruttando l’utilizzo di una luce ad infrarosso. A questa lunghezza d’onda, diversamente dalla fluoresceina, la diffusione risulta più efficace attraverso i mezzi diottrici meno trasparenti, i pigmenti oculari, le essudazioni ed alcune emorragie. Questo colorante si lega in gran parte (98%) e rapidamente alle proteine plasmatiche non diffondendo come la fluoresceina ma rimanendo nella circolazione coroideale che viene così evidenziata. Questo esame è particolarmente indicato nelle alterazioni funzionali ed anatomiche della coroide che si osservano in corso di vasculopatie, infiammazioni, maculopatia neovascolare, patologia del nervo ottico, neoplasie.

La retinografia rappresenta la documentazione fotografica dell’immagine del fondo oculare. Tale immagine è ottenibile con una fundus camera o con strumenti a scansione laser e viene eseguita principalmente dopo instillazione di colliri midriatici sebbene esistano attualmente anche strumenti che consentono di ottenere tale immagine senza la necessità di dilatare la pupilla. La retinografia tradizionale produce un’immagine a colori del fondo oculare utilizzata solitamente per lo screening di alcune patologie oculari quali la retinopatia diabetica o per il monitoraggio, come nel caso di nevi coroideali. Esistono poi altri tipi di retinografia, ciascuno in grado di studiare in maniera più specifica diversi dettagli: in luce aneritra (vasi, emorragie, drusen, essudati), in luce blu-verde (strato delle fibre nervose, membrana limitante interna, pieghe, cisti retiniche, membrane epiretiniche) e in luce rossa (lesioni pigmentate, rotture della coroide, vasi coroideali).

Una particolare forma di retinografia è, poi, rappresentata dalla retinografia in autofluorescenza che consente di evidenziare la fluorescenza spontanea della retina emessa a varie lunghezze d’onda, in particolare dalla lipofuscina in luce blu e dalla melanina in luce infrarossa. Per ottenere tale immagine è possibile oggi utilizzare due tipi di angiografi, quelli che hanno per sorgente luminosa uno scanning laser (il più diffuso è Heidelberg Retina Angiograpg – HRA) e quelli dotati di fundus camera (Topcon, Canon, Zeiss). Nella pratica clinica questa metodica riveste una certa utilità nello studio di diverse patologie quali la degenerazione maculare senile atrofica ed essudativa, la corioretinopatia sierosa centrale, l’edema maculare cistoide, la malattia di Stargardt e di Best, i fori maculari e i nevi coroideali.

Gli OCT di ultima generazione vengono utilizzati nella gestione del paziente glaucomatoso, al momento della diagnosi e durante il follow-up. 

Ad oggi è possibile ottenere accurate scansioni dello strato delle fibre nervose, della rima nervosa della testa del nervo ottico e dello strato delle cellule ganglionari maculari.  

Inoltre, sono disponibili OCT in grado di eseguire la pachimetria, ossia la misurazione dello spessore centrale della cornea, parametro importante nell’inquadramento diagnostico del paziente glaucomatoso.  

La Tomografia a Coerenza Ottica, chiamata in breve OCT dall’abbreviazione del suo termine inglese Optical Coherence Tomography.

Il primo OCT utilizzato è stato quello con metodica Time Domain, tecnica diagnostica non invasiva che consente la visualizzazione di sezioni trasversali retiniche ad alta risoluzione (circa 10 micron) utilizzando per l’acquisizione delle scansioni un raggio di luce di lunghezza d’onda nel vicino infrarosso (845 nm). Le scansioni vengono acquisite dallo strumento in un secondo e quindi integrate dal computer che le mostra con una scala a falsi colori, nei quali i colori più chiari (dal rosso al bianco) corrispondono a zone ad alta riflettività ottica ed i colori più scuri (dal blu al nero) corrispondono a zone a bassa riflettivita’ ottica.

Le differenti colorazioni dell’immagine OCT sono la risultante delle differenti proprietà ottiche del tessuto in esame. Il segnale OCT che proviene da un determinato strato di tessuto è una combinazione della riflettività di quello strato e delle proprietà di assorbimento e dispersione degli strati sovrastanti. Operando con una lunghezza d’onda nel vicino infrarosso ed utilizzando una metodica non a contatto, l’esame risulta ben tollerato dal paziente il quale necessita di una buona midriasi (dilatazione pupillare) e possibilmente di un punto di fissazione stabile. L’OCT consente quindi una dettagliata esplorazione del polo posteriore di un occhio utilizzando diverse modalità di scansione, lineare o circolare, regolandone anche le dimensioni della scansione in lunghezza o diametro. La scansione lineare viene utilizzata nella valutazione della morfologia retinica e maculare in particolare, la scansione circolare, eseguita intorno al nervo ottico, viene utilizzata nella valutazione dello spessore delle fibre nervose.

L’esame con OCT è di fondamentale importanza nella diagnosi delle sindromi dell’interfaccia vitreoretinica. Esso consente, infatti, di evidenziare anche precocemente eventuali variazioni morfologiche della retina come la presenza di pucker maculari, anomalie anatomiche in caso di fori maculari a parziale o a tutto spessore. Consente inoltre di valutare e misurare in tempo reale il diametro della lesione retinica in caso di fori o pseudofori e lo spessore retinico in presenza ad esempio di edema intraretinico dei margini perilesionali. Con la misurazione dello spessore retinico l’OCT permette anche una precoce individuazione di edemi retinici determinati da diverse patologie e una loro monitorizzazione nel tempo. La presenza di eventuali membrane o trazioni vitreali può essere evidenziata sotto forma di placche o tralci altamente reflettenti connessi alla superficie interna della retina. In caso di membrane neovascolari sottoretiniche ci consente di individuare la lesione e di studiarne i suoi rapporti con il sovrastante strato dell’epitelio pigmentato determinandone la sua invasività. In conclusione la tomografia a coerenza ottica è una metodica non invasiva ben tollerata dal paziente che trova il suo peculiare impiego nella diagnosi e nella valutazione di diverse patologie maculari e nella valutazione del danno glaucomatoso mediante la misurazione dello spessore delle fibre nervose.

Negli ultimi anni le innovazioni tecnologiche nel campo della tomografia ottica hanno portato alla produzione di apparecchiature sempre più sofisticate ed evolute: gli OCT ad alta definizione (Spectral Domain OCT, HD OCT). Questi strumenti consentono l’acquisizione di un numero enorme di scansioni al secondo (25.000-40.000 Scan al secondo contro le 400 scan/ sec degli OCT Time domain) con la possibilità di ottenere scansioni ad alta risoluzione (4-7 micron), quasi istologica, del neuropitelio retinico e del complesso EPR-coriocapillare e l’acquisizione di immagini sia frontali che tridimensionali delle strutture esaminate.

Recentemente è stato acquisito lo SWEPT SOURCE OCT,  strumento pensato per la ricerca, capace di un dettaglio superiore negli strati retinici più profondi, con i suoi 100.000 A-scans/sec. e grazie alla lunghezza d’onda utilizzata di 1050mm, il DRI OCT-1 ha la possibilità di penetrare più in profondità nella retina, visualizzando tessuti oculari come coroide e sclera in un lasso di tempo incredibilmente ristretto.

Un’ altra metodica di nuova generazione utilizzata sempre a fini di ricerca scientifica è quella che vede l’utilizzo dell’ Angio OCT, in grado di sfruttare scansioni acquisite ad elevata risoluzione mediante nuovi algoritmi in grado di visualizzare le strutture vascolari retiniche in assenza di utilizzo di mezzi di contrasto.

Tale metodica apre nuovi scenari nello studio e nella comprensione di alcune patologie retiniche quali le degenerazioni maculari essudative, le patologie vascolari retiniche (diabete mellito e trombosi venose)

L’elettroretinogramma (ERG) è la risposta bioelettrica retinica ad uno stimolo visivo sia esso costituito da un flash di luce stroboscopica o da un monitor televisivo in cui sono presenti barre o scacchi bianchi e neri che si alternano in modo cadenzato nel tempo (pattern). L’ERG da flash è espressione della funzionalità degli strati retinici più esterni (epitelio pigmentato e fotorecettori), mentre l’ERG da pattern (PERG) è generato degli strati retinici più interni (cellule e fibre ganglionari). 

L’ERG da Flash è caratterizzato da una serie di onde a polarità alternante tra cui riconosciamo l’onda a, l’onda b ed i Potenziali Oscillatori (PO), mentre nel PERG è possibile identificare dei picchi che vengono contrassegnati con la lettera indicante la polarità e la cifra indicante il tempo di latenza, cioè il tempo in millisecondi dopo la presentazione dello stimolo visivo in cui compare il picco sul tracciato elettroretinografico (N35, P50 e N95). 

L’ERG da flash costituisce una risposta di massa dell’intera retina ed il contributo fornito alla genesi di questa risposta elettrofunzionale da parte della regione maculare, può essere considerato trascurabile. La funzionalità maculare o di aree retiniche localizzate possono essere invece valutata attraverso l’ERG multifocale che si basa su particolari metodiche di stimolazione visiva e di registrazione delle risposte bioelettriche. Modificazioni delle singole risposte bioelettriche sono indicatrici di una disfunzione dei coni della regione centrale della retina entro i 20° centrali; ciò permette di eseguire una diagnosi sempre più approfondita delle patologie maculari ed il grado di disfunzione che essa ha generato. L’esame si rileva utile nelle patologie della retina quali:

  • degenerazione maculare legata all’età,
  • maculopatia di Stargardt,
  • maculopatia di Best,
  • retinite pigmentosa,
  • maculopatia tossica da farmaci

Permette inoltre di valutare se i processi degenerativi in corso di patologie neurodegenerative (Es. Sclerosi multipla) possono coinvolgere o meno anche le strutture retiniche. Nella figura è riportata la localizzazione degli stimoli visivi sulla retina e le relative risposte bioelettriche. 

I potenziali Evocati Visivi (PEV) si definiscono come le variazioni dei potenziali bio-elettrici della corteccia occipitale evocati da stimoli visivi. Sono, quindi, la manifestazione di raffinati e complessi eventi neurosensoriali legati a fenomeni di trasduzione e di trasmissione dell’impulso nervoso lungo le vie visive, cioè dai fotorecettori retinici fino alla corteccia cerebrale occipitale. Lo stimolo visivo puo’ essere fornito sia da un flash che da un pattern. Il PEV da pattern transiente è caratterizzato da una serie di onde a polarità alternante fra le quali è possibile distinguere dei picchi che vengono definiti con la lettera indicante la polarità e la cifra indicante il tempo di latenza: N75, P100 e N145. 

L’aumento del tempo di latenza e la riduzione di ampiezze delle varie onde del PEV rappresenta il corrispettivo elettrofunzionale di un rallentamento della conduzione nervosa lungo le vie ottiche. Questo aspetto patologico può essere ascritto ad un interessamento primario dei fotorecettori retinici, delle cellule ganglionari, alle alterazioni funzionali della regione maculare ed anche ad un ritardo di conduzione a livello del sistema nervoso centrale, cioe’ tra retina e corteccia visiva. La conduzione dell’impulso nervoso tra le cellule ganglionari e la corteccia visiva può essere valutata elettrofisiologicamente tramite la registrazione simultanea di PEV e PERG, in cui la differenza tra il tempo di latenza P100 del PEV (espressione della risposta occipitale) e il tempo di latenza della P50 del PERG (espressione della massima attività delle cellule ganglionari) viene indicato come “tempo di conduzione retinocorticale (RCT)”. Tale tecnica è utile nella diagnosi del glaucoma, delle neuriti ottiche e nella diagnosi differenziale con le patologie neurologiche che interessano le vie ottiche. Un esempio di registrazione simultanea di PERG e PEV in un soggetto normale è riportato nella figura sottostante.

L’esame del campo visivo computerizzato consente di valutare la funzione del nervo ottico e viene utilizzato nella diagnosi e nel follow-up di pazienti affetti da patologie del nervo ottico, come il glaucoma. 

L’esame misura la sensibilità retinica differenziale rilevata tramite la presentazione di stimoli luminosi di diversa intensità e viene eseguito monocularmente. Al paziente viene chiesto di fissare una mira luminosa e di segnalare la comparsa degli stimoli luminosi sulla cupola dello strumento, tramite la pressione di un apposito pulsante.  

Il printout dell’esame fornisce una serie di informazioni valide per stadiare e seguire l’andamento funzionale della patologia, consentendo di rilevare un’eventuale progressione della stessa. 

Essendo un esame psicofisico ha diversi limiti legati alla performance del paziente che spesso impara con il tempo a eseguire un esame attendibile.  

Nella gestione del paziente glaucomatoso è indicato eseguire l’esame almeno tre volte l’anno per i primi due anni dalla diagnosi della malattia, adattando i successivi intervalli all’andamento della stessa.